Pietro Sorano.

  • Tempo
  • Limite
  • Oscurità
  • Luce
  • Placebo

out-SIDE.
Laboratorio per la creazione di una performance site specific
Stanze Castello Campori Soliera (MO).
per ARTIVIVEFESTIVAL.
Ideazione e direzione Elisabetta Di Terlizzi.
Collaborazione artistica Chiara Davolio.

out-SIDE si concentra su un’indagine del rapporto tra il corpo e l’immagine, sulla composizione, sulla presenza ed il luogo partendo dalla rilettura delle opere fotografiche di Francesca Woodman.
Il lavoro ha coinvolto tramite una open call circa 10/15 partecipanti.
5 giorni di laboratorio finalizzati alla creazione di out-SIDE, una performance site-specific, che si è suddivisa in tre fasi: la prima ha previsto un’apertura al pubblico all’interno di un luogo/spazio con le presenze, nei 2 o 3 giorni seguenti la seconda
fase installativa sempre aperta al pubblico ma senza le presenze all’interno e l’ultima fase ovvero una serie di azioni che dall’interno viaggiano all’esterno.

Costruire un nido fuori dal proprio corpo come rituale di creazione che invade la quotidianità.
[ Nelle cose più profonde ed importanti, noi siamo soli. ] Molte e grandi tristezze se ne sono andate. Ed anche quell’ andarsene è stato difficile ed irritante. Ma riflettendo quelle grandi tristezze sono passate attraverso di noi. Molto in noi si trasforma, in qualche parte, in qualche punto dell’essere mutiamo. Se ponessimo la fiducia nelle nostre tristezze e non solo nelle gioie, i momenti in cui qualcosa di nuovo entra in noi, qualcosa di sconosciuto? Le tristezze sono momenti di tensione, che noi sentiamo come paralisi, perché non ci piace vivere le sorprese. Siamo soli con qualcosa di estraneo che entra in noi; perché qualcosa c’è stato tolto quindi siamo in un passaggio dove non possiamo fermarci. Come passa la tristezza? Quando il nuovo entra in noi, il sopravvenuto entra nel nostro cuore, penetra nella sua camera più interna e anche là non è più, è già nel sangue. E noi non capiamo cosa sia successo.
Potremmo convincerci che nulla sia accaduto, eppure noi ci siamo trasformati, come si trasforma una casa, in cui sia entrato un ospite.
Creare partiture fisiche, gesti danzati che descrivono la drammaticità del dare senza ricevere, la sospensione dell’attesa e l’emozionalità generata dall’essere osservati per poi essere respinti o non accolti. Una delle due presenze osserva il movimento dell’altra, ne è testimone o complice per poi scambiarsi per provare a vivere con il proprio corpo ciò da cui si è stati fisicamente lontani. Rendere il proprio movimento essenziale: l’osservazione dell’altra presenza mi permette di “entrare” nel suo movimento?
Sono coinvolta o respinta? Posso ottenere una nuova fisicità, che non è più né la mia, né quella dell’altra ma sconosciuta?
Ciò che attiriamo potrebbe non essere affatto di nostro gradimento e ciò che tanto abbiamo desiderato potrebbe anche rivelarsi non più desiderabile.
Siamo noi ad essere attratti o ad attrarre?